martedì 24 marzo 2015

Il curioso caso della linea di vestiti metal di H&M

H&M, croce e delizia di tutti noi squattrinati che crescendo abbiamo abbandonato il look da full-ferramenta e diluito il borchiame in mezzo a vestiti meno appariscenti. Da qualche anno a questa parte, anche scavando a fondo negli scaffali è diventato quasi impossibile trovare qualcosa di indossabile da quelle parti. Ma ammettiamolo: quando in mezzo alle camicie di flanella da hipster e felponi West Coast spuntano fuori magliette con i teschi o gli inserti in similpelle, è sempre una festa perché, finalmente, troviamo qualcosa a buon prezzo da integrare nel nostro stile metal-chic. Giusto?
Beh, non tutti la pensano così: c’è anche qualcuno che, superati i venticinque, ancora crocifiggerebbe l’industria della moda a testa in giù perché scava a piene mani nella sua adorata sottocultura e lo fa sentire un po’ meno unico divulgando borchie e nero al pubblico mainstream ignorante. Voglio dire, come osano dare quel bel look che ci faceva sentire tanto unici dietro i banchi del liceo in pasto a tutti quei poser che non sanno distinguere un growl dal rumore del lavandino otturato in cucina?

Sembra un po’ essere questa la ragione dietro gli ultimi avvenimenti che hanno coinvolto la catena di abbigliamento svedese, ma ammetto che l’intera faccenda è così confusa che faccio fatica a seguirne il filo logico (tant’è che ho tipo otto schede aperte sul browser, fra cui anche il catalogo primaverile di H&M). Per cui, tentiamo di andare per ordine.
Per questa primavera H&M ha lanciato una linea simil-metal che include magliette con teschiame e crociame vario, jeans e giacche con toppe di presunte band metal tipo quelle che ci attaccavamo sullo zaino col ferro da stiro. Il che già di per sé fa notizia, perché un paio di quelle magliette le comprerei volentieri mentre erano almeno due anni e mezzo che, ogni volta che entravo da H&M, mi veniva da correre a rifugiarmi da Zara e dondolarmi in preda al male di vivere nell’angolo di qualche camerino. Fin qui nulla di strano: le band i cui loghi sono finiti sui capi sono fittizie, probabilmente per non pestare i piedi a nessuno, non infrangere copyright e non fare la fine delle chiese di legno norvegesi.
Improvvisamente, appare una label selvatica chiamata Strong Scene Productions, che annuncia di lavorare in supporto della linea di vestiti di H&M, che avrebbe usato loghi di band storiche e influenti di svariati decenni fa ma che, apparentemente, la scena metal aveva dimenticato. Abbiamo addirittura un video su YouTube che presenta snippet di brani prodotti dalle band in questione.


Ovviamente, non solo nessuno, nemmeno i più kvult, aveva mai sentito parlare di queste band, ma qualsiasi profilo online a loro associato sembra essere apparso nelle ultime settimane. Condite il tutto con riferimenti e immagini neo-naziste, e boom, l’internet è pronto a esplodere, con i metallari che mitragliano borchie a tutto spiano contro H&M, reo di aver inventato band fasulle per sfruttare il buon nome del \m/ Metal \m/ per vendere i suoi vestiti mainstream, e il mondo della moda sotto shock perché H&M sta facendo una campagna virale a tema satanico/neo-nazista. A questo punto, qual è la verità? La campagna è stata commissionata da H&M per sfruttare la controversia e spingere le vendite? Sono davvero caduti così in basso? O forse e tutto un gombloddo di Zara per dare il colpo di grazia al rivale?

Plot twist: era tutto uno scherzone! Uno organizzato da Henri Sorvali, il chitarrista dei Finntroll (un nome, un programma), assieme ai suoi amici perché, come abbiamo detto in apertura, il metal non si tocca! Prima escono fuori post della Strong Scene Productions che si contraddicono fra di loro, poi ammettono che non sono affiliati a H&M e si tratta solo di un “art project”, e alla fine lui stesso ammette tutto a Noisey:
N: Okay, seriamente, Henri – qualcuna delle band della Strong Scene Productions esiste veramente?
H: No. Ognuna di queste band è stata creata sulla base delle toppe nella collezione primaverile di H&M.
N: È una vendetta contro la mercificazione del metal da parte dei negozi di vestiti?
H: In parte, sì. Ma volevamo anche sottolineare che non si può commercializzare una sottocultura senza conoscerne veramente i diversi aspetti. Conoscere i tuoi prodotti è essenziale nel marketing, e Strong Scene sostiene la conoscenza e l’istruzione per tutti sull’argomento. E no, non sono stato prezzolato dalla H&M, è l’idea più assurda che gira.
N: Tutto ciò sembra un grosso sforzo solo per trollare H&M. Quindi la vera domanda è, perché tutta questa sbatta?
H: Lo scopo del gruppo (che consiste letteralmente in decine di persone da diverse aree della musica e dei media scandinavi) era di creare una discussione sul fatto che la cultura metal è più che solo loghi “fighi” su vestiti alla moda, e ha molti più aspetti estetici e ideologici nei suoi vari sottogeneri di quanto alcune multinazionali cercano di esprimere. La scena metal è varia, controversa e una specie di lupo che non si può mettere al guinzaglio aspettandosi che si comporti come un cane. Strong Scene, come gruppo, non ha assolutamente alcuna intenzione politica né ideologica, cerca solo di portare la conversazione al livello a cui dovrebbe essere discussa. Pensateci come gli “Yes Men” del metal.
Davvero, Henri? Il livello a cui si dovrebbe discutere il metal sarebbe questo? Una versione un po’ più in grande di tutte le discussioni che abbiamo avuto da ragazzini quando al liceo vedevamo qualcuno con la maglietta di una band che non ascoltava? Perché non prendiamoci in giro, è a questo che siamo scesi.

Mi spiace, ma questo giro mi schiero con H&M. A 36 anni suonati, uno dovrebbe aver superato da almeno un paio di decenni la logica per la quale vestirsi da metallaro ti rende il più figo della scuola e chiunque tenti di rubarti il tuo look così dannatamente edgy è solo un poser.
Il tentativo di far passare la faccenda per una questione ideologica e di principio mi fa sorridere con condiscendenza: se H&M avesse sfruttato l’ideologia metal (ammesso che ce ne sia una) o la musica per pubblicizzare qualcosa che non c’entra niente, avrei anche potuto capire. Ma qui la faccenda riguarda semplicemente il look, e le parole di Sorvali mi sembrano più che altro una montagna di autogiustificazioni per uno scherzo che è fuggito di mano. Il fatto che si possa sentire la propria unicità minacciata quando uno stereotipo viene sfruttato la dice lunga su come la gente si identifichi negli stereotipi in questione e su quanto sciocche e inutili siano le sottoculture. Sono un ottimo modo per trovare la nostra strada da ragazzini, per imparare a non farci omologare troppo dalla società, ma alla lunga si tratta solo di omologarsi a un gruppo sociale diverso, tanto chiuso e pieno di pregiudizi quanto la società a cui si oppone. Quando si cresce, bisognerebbe davvero trovare la propria unicità e usarla per connettersi all’unicità degli altri, a prescindere da cosa noi o loro abbiamo addosso.
In sostanza, Henri Sorvali, complimenti: sei rimasto inchiodato alla fase dell’adolescente ribelle.

1 commento:

  1. Questa della H&M è stata una bufala ideata ad hoc da Henri Sorvali e altri! Non sono mai stati messi in vendita quei capi d'abbigliamento. Google per info

    RispondiElimina